MedikalBeauty- Dermomedical. Mastoplastica, protesi e tutto quanto c’è da sapere…

Storia, forme, tipi d’intervento e controindicazioni delle protesi per mastoplastica additiva.

La mastoplastica, specialmente quella additiva, è un argomento sempre di moda e capace di catalizzare l’attenzione di tutti, maschi e femmine.
Ma molte cose non sono assolutamente conosciute, e per questo, cercheremo qui di chiarirle, senza entrare in sala operatoria…
Per iniziare un po’ di storia: tutti siamo portati a pensare che la mastoplastica sia un “qualcosa” di recente, invece no, perché già 1895 ci fu infatti il primo intervento di mastoplastica additiva, certificato, effettuato in Germania dove il grasso proveniente da un intervento di asportazione d’un tumore benigno fu reimpiantato nel seno appunto.
Poi il notevole incremento di interesse da parte delle donne per tale intervento estetico portò ad intervenire con vari tipi di “riempitivi”, tra i più disparati, quali: lana, vetro (!!!!) e gomma, per poi arrivare intorno agli anni 1950/60 alla cera, all’olio di silicone, alla resina o al nylon.
I risultati erano ovviamente disastrosi, per via di rigetti, infiammazioni, edemi, granulomi e dolori intensi che tali sostanze provocavano.
La svolta avvenne nel 1963 quando Cronin e Gerow introdussero le protesi composte da un involucro di silicone riempito con gel di silicone.
Ovviamente come in tutti i campi le prime protesi non erano paragonabili a quelle attuali, ma erano anni luce avanti a quanto precedentemente proposto !
Un'altra pietra miliare fu l’introduzione delle protesi a soluzione salina, meno controindicazioni per la contrattura capsulare ma, purtroppo, la diminuzione di volume con e a causa della perdita del liquido, le fece presto quasi sparire.
Erano inoltre poco confortevoli e sgradevoli al tatto.
Si arriva così agli anni 1970-80-90 dove fanno la loro entrata in scena nuovi materiali quali: l’idrogel o l’olio di soia ed altri dai nomi astrusi.
Purtroppo anche per essi la sicurezza era un po’ scarsa e vennero così progressivamente ritirati dal mercato.
Si ritorna così alle protesi a base di silicone, ovviamente evolutesi grazie ai progressi tecnologici e scientifici…
Anche loro però ebbero un periodo di crisi quando furono “accusate” di essere cancerogene, per poi venire “assolte” da ulteriori studi clinici che hanno “certificato” la mancanza di nesso tra protesi al silicone e tumori alla ghiandola mammaria.
Ora concentriamoci sulle protesi, il cui utilizzo a scopi estetici è preponderante, ma non va dimenticato anche l’utilizzo terapeutico, per quelle donne che affette da tumore al seno non diagnosticato in tempo, sono costrette per salvare la vita a subire una mastectomia.
Questo comporta un trauma esistenziale oltre che estetico non indifferente, che la ricostruzione della mammella ha in gran parte ridimensionato, aumentando la qualità della vita delle pazienti.
Le protesi per il seno sono ad oggi così classificate:
- Con soluzione salina: involucro in silicone e riempite con una soluzione sterile salina appunto;
- Con gel di silicone: composte da involucro in silicone e riempite di gel di silicone, possono avere diverse “sfumature” di morbidezza;
- Protesi a laccio: immagino che nessuno le abbia mai sentite nominare, infatti sono veramente poco comuni. Per esse si usa il polipropilene. La loro peculiarità è che permettono al seno di continuare la sua crescita;
- Protesi a base di tessuto o staminali: sono ancora in fase evolutiva, ma sono sicuramente la prossima “pietra miliare” non appena raggiungeranno la “maturità”.
Infatti esse sono costituite dal tessuto della stessa paziente che opportunamente trattato viene reimpiantato nella mammella, senza rischi rotture, senza la necessità di future sostituzioni e senza alcun tipo di rigetto e senza cali o deformazioni dovuto allo scorrere del tempo.
Le forme sono essenzialmente 2: rotonde o anatomiche.
Quelle rotonde sono autoadattanti e richiedono quindi un’esperienze da parte del chirurgo che le deve posizionare per evitare poi deformazioni.
Le anatomiche sono già orientate in quanto hanno oltre ad un avanti e un dietro, anche un sopra e un sotto, col vantaggio di dare al seno una forma più naturale e “stabile” ma ovviamente richiedono la massima attenzione da parte dei chirurghi estetici.
In funzione del loro posizionamento le protesi si distinguono in:
- sotto pettorale in quanto vanno sotto al muscolo pettorale;
- sotto ghiandolare, che come dice il nome, vengono posizionate sotto la mammella, tra la stessa e la cute.
A seconda della modalità di inserimento gli interventi sono classificati come:
- Periareolare: si incide il seno tra l’areola e la cute e si usa tale via per l’inserimento ed il posizionamento della protesi, questo tipo d’intervento ha il suo pregio nell’efficacia di mascherare la cicatrice;
- Sottomammellare: si utilizza tutta la sezione della mammella ove essa si ricongiunge col torace, è utilizzata per protesi piuttosto voluminose, ovviamente lascia una cicatrice piuttosto evidente, nascosta dalla massa del seno stesso, ma visibile comunque in posizione supina;
- Ascellare: si accede attraverso l’ascella, utilizzata principalmente per protesi di tipo salino col vantaggio di una cicatrice piccola e posta in un’area poco visibile;
- Ombelicale: si accede ovviamente attraverso l’ombelico, che è di per sè una cicatrice, quindi non ha controindicazioni dovute al taglio, ma è scarsamente applicabile per via della dimensione massima della protesi che si può far passare e per il fatto che per le pazienti troppo magre il rischio di danneggiare nervi, tendini o la cute stessa è elevato. Tale controindicazione è valida anche per la tipologia “ascellare” sopra descritta.
Oltre che per gli interventi di mera tipologia estetica, ricostruttiva: a seguito di malattie o traumi, la chirurgia ricostruttiva del seno viene impiegata anche per il cambio di sesso, ovviamente.
Come sopra accennato tra le “controindicazioni” vi è la temporaneità dell’intervento, da intendersi che la mastoplastica non è per sempre, anche se si parla comunque di parecchi anni (dai 5 ai 10) prima di doversi rioperare per sostituire le prime protesi, sformate, o a rischio di perdita dei liquidi di riempimento, con delle nuove, e magari più moderne e durature, approfittando dei progressi di tecnica e scienza.

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